Paradiso: Canto XXV Se mai continga che 'l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, sì che m'ha fatto per molti anni macro, vinca la crudeltà che fuor mi serra del bello ovile ov'io dormi' agnello, nimico ai lupi che li danno guerra; con altra voce omai, con altro vello ritornerò poeta, e in sul fonte del mio battesmo prenderò 'l cappello; però che ne la fede, che fa conte l'anime a Dio, quivi intra' io, e poi Pietro per lei sì mi girò la fronte. Indi si mosse un lume verso noi di quella spera ond'uscì la primizia che lasciò Cristo d'i vicari suoi; e la mia donna, piena di letizia, mi disse: «Mira, mira: ecco il barone per cui là giù si vicita Galizia». Sì come quando il colombo si pone presso al compagno, l'uno a l'altro pande, girando e mormorando, l'affezione; così vid'io l'un da l'altro grande principe glorioso essere accolto, laudando il cibo che là sù li prande. Ma poi che 'l gratular si fu assolto, tacito coram me ciascun s'affisse, ignito sì che vincea 'l mio volto. Ridendo allora Beatrice disse: «Inclita vita per cui la larghezza de la nostra basilica si scrisse, fa risonar la spene in questa altezza: tu sai, che tante fiate la figuri, quante Iesù ai tre fé più carezza». «Leva la testa e fa che t'assicuri: che ciò che vien qua sù del mortal mondo, convien ch'ai nostri raggi si maturi». Questo conforto del foco secondo mi venne; ond'io levai li occhi a' monti che li 'ncurvaron pria col troppo pondo. «Poi che per grazia vuol che tu t'affronti lo nostro Imperadore, anzi la morte, ne l'aula più secreta co' suoi conti, sì che, veduto il ver di questa corte, la spene, che là giù bene innamora, in te e in altrui di ciò conforte, di' quel ch'ell'è, di' come se ne 'nfiora la mente tua, e dì onde a te venne». Così seguì 'l secondo lume ancora. E quella pia che guidò le penne de le mie ali a così alto volo, a la risposta così mi prevenne: «La Chiesa militante alcun figliuolo non ha con più speranza, com'è scritto nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: però li è conceduto che d'Egitto vegna in Ierusalemme per vedere, anzi che 'l militar li sia prescritto. Li altri due punti, che non per sapere son dimandati, ma perch'ei rapporti quanto questa virtù t'è in piacere, a lui lasc'io, ché non li saran forti né di iattanza; ed elli a ciò risponda, e la grazia di Dio ciò li comporti». Come discente ch'a dottor seconda pronto e libente in quel ch'elli è esperto, perché la sua bontà si disasconda, «Spene», diss'io, «è uno attender certo de la gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto. Da molte stelle mi vien questa luce; ma quei la distillò nel mio cor pria che fu sommo cantor del sommo duce. 'Sperino in te', ne la sua teodìa dice, 'color che sanno il nome tuo': e chi nol sa, s'elli ha la fede mia? Tu mi stillasti, con lo stillar suo, ne la pistola poi; sì ch'io son pieno, e in altrui vostra pioggia repluo». Mentr' io diceva, dentro al vivo seno di quello incendio tremolava un lampo sùbito e spesso a guisa di baleno. Indi spirò: «L'amore ond'io avvampo ancor ver' la virtù che mi seguette infin la palma e a l'uscir del campo, vuol ch'io respiri a te che ti dilette di lei; ed emmi a grato che tu diche quello che la speranza ti 'mpromette». E io: «Le nove e le scritture antiche pongon lo segno, ed esso lo mi addita, de l'anime che Dio s'ha fatte amiche. Dice Isaia che ciascuna vestita ne la sua terra fia di doppia vesta: e la sua terra è questa dolce vita; e 'l tuo fratello assai vie più digesta, là dove tratta de le bianche stole, questa revelazion ci manifesta». E prima, appresso al fin d'este parole, 'Sperent in te' di sopr'a noi s'udì; a che rispuoser tutte le carole. Poscia tra esse un lume si schiarì sì che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo, l'inverno avrebbe un mese d'un sol dì. E come surge e va ed entra in ballo vergine lieta, sol per fare onore a la novizia, non per alcun fallo, così vid'io lo schiarato splendore venire a' due che si volgieno a nota qual conveniesi al loro ardente amore. Misesi lì nel canto e ne la rota; e la mia donna in lor tenea l'aspetto, pur come sposa tacita e immota. «Questi è colui che giacque sopra 'l petto del nostro pellicano, e questi fue di su la croce al grande officio eletto». La donna mia così; né però piùe mosser la vista sua di stare attenta poscia che prima le parole sue. Qual è colui ch'adocchia e s'argomenta di vedere eclissar lo sole un poco, che, per veder, non vedente diventa; tal mi fec'io a quell'ultimo foco mentre che detto fu: «Perché t'abbagli per veder cosa che qui non ha loco? In terra è terra il mio corpo, e saragli tanto con li altri, che 'l numero nostro con l'etterno proposito s'agguagli. Con le due stole nel beato chiostro son le due luci sole che saliro; e questo apporterai nel mondo vostro». A questa voce l'infiammato giro si quietò con esso il dolce mischio che si facea nel suon del trino spiro, sì come, per cessar fatica o rischio, li remi, pria ne l'acqua ripercossi, tutti si posano al sonar d'un fischio. Ahi quanto ne la mente mi commossi, quando mi volsi per veder Beatrice, per non poter veder, benché io fossi presso di lei, e nel mondo felice! Paradiso: Canto XXVI Mentr'io dubbiava per lo viso spento, de la fulgida fiamma che lo spense uscì un spiro che mi fece attento, dicendo: «Intanto che tu ti risense de la vista che hai in me consunta, ben è che ragionando la compense. Comincia dunque; e di' ove s'appunta l'anima tua, e fa' ragion che sia la vista in te smarrita e non defunta: perché la donna che per questa dia region ti conduce, ha ne lo sguardo la virtù ch'ebbe la man d'Anania». Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo vegna remedio a li occhi, che fuor porte quand'ella entrò col foco ond'io sempr'ardo. Lo ben che fa contenta questa corte, Alfa e O è di quanta scrittura mi legge Amore o lievemente o forte». Quella medesma voce che paura tolta m'avea del sùbito abbarbaglio, di ragionare ancor mi mise in cura; e disse: «Certo a più angusto vaglio ti conviene schiarar: dicer convienti chi drizzò l'arco tuo a tal berzaglio». E io: «Per filosofici argomenti e per autorità che quinci scende cotale amor convien che in me si 'mprenti: ché 'l bene, in quanto ben, come s'intende, così accende amore, e tanto maggio quanto più di bontate in sé comprende. Dunque a l'essenza ov'è tanto avvantaggio, che ciascun ben che fuor di lei si trova altro non è ch'un lume di suo raggio, più che in altra convien che si mova la mente, amando, di ciascun che cerne il vero in che si fonda questa prova. Tal vero a l'intelletto mio sterne colui che mi dimostra il primo amore di tutte le sustanze sempiterne. Sternel la voce del verace autore, che dice a Moisè, di sé parlando: 'Io ti farò vedere ogni valore'. Sternilmi tu ancora, incominciando l'alto preconio che grida l'arcano di qui là giù sovra ogni altro bando». E io udi': «Per intelletto umano e per autoritadi a lui concorde d'i tuoi amori a Dio guarda il sovrano. Ma di' ancor se tu senti altre corde tirarti verso lui, sì che tu suone con quanti denti questo amor ti morde». Non fu latente la santa intenzione de l'aguglia di Cristo, anzi m'accorsi dove volea menar mia professione. Però ricominciai: «Tutti quei morsi che posson far lo cor volgere a Dio, a la mia caritate son concorsi: ché l'essere del mondo e l'esser mio, la morte ch'el sostenne perch'io viva, e quel che spera ogni fedel com'io, con la predetta conoscenza viva, tratto m'hanno del mar de l'amor torto, e del diritto m'han posto a la riva. Le fronde onde s'infronda tutto l'orto de l'ortolano etterno, am'io cotanto quanto da lui a lor di bene è porto». Sì com'io tacqui, un dolcissimo canto risonò per lo cielo, e la mia donna dicea con li altri: «Santo, santo, santo!». E come a lume acuto si disonna per lo spirto visivo che ricorre a lo splendor che va di gonna in gonna, e lo svegliato ciò che vede aborre, sì nescia è la sùbita vigilia fin che la stimativa non soccorre; così de li occhi miei ogni quisquilia fugò Beatrice col raggio d'i suoi, che rifulgea da più di mille milia: onde mei che dinanzi vidi poi; e quasi stupefatto domandai d'un quarto lume ch'io vidi tra noi. E la mia donna: «Dentro da quei rai vagheggia il suo fattor l'anima prima che la prima virtù creasse mai». Come la fronda che flette la cima nel transito del vento, e poi si leva per la propria virtù che la soblima, fec'io in tanto in quant'ella diceva, stupendo, e poi mi rifece sicuro un disio di parlare ond'io ardeva. E cominciai: «O pomo che maturo solo prodotto fosti, o padre antico a cui ciascuna sposa è figlia e nuro, divoto quanto posso a te supplìco perché mi parli: tu vedi mia voglia, e per udirti tosto non la dico». Talvolta un animal coverto broglia, sì che l'affetto convien che si paia per lo seguir che face a lui la 'nvoglia; e similmente l'anima primaia mi facea trasparer per la coverta quant'ella a compiacermi venìa gaia. Indi spirò: «Sanz'essermi proferta da te, la voglia tua discerno meglio che tu qualunque cosa t'è più certa; perch'io la veggio nel verace speglio che fa di sé pareglio a l'altre cose, e nulla face lui di sé pareglio. Tu vuogli udir quant'è che Dio mi puose ne l'eccelso giardino, ove costei a così lunga scala ti dispuose, e quanto fu diletto a li occhi miei, e la propria cagion del gran disdegno, e l'idioma ch'usai e che fei. Or, figluol mio, non il gustar del legno fu per sé la cagion di tanto essilio, ma solamente il trapassar del segno. Quindi onde mosse tua donna Virgilio, quattromilia trecento e due volumi di sol desiderai questo concilio; e vidi lui tornare a tutt'i lumi de la sua strada novecento trenta fiate, mentre ch'io in terra fu' mi. La lingua ch'io parlai fu tutta spenta innanzi che a l'ovra inconsummabile fosse la gente di Nembròt attenta: ché nullo effetto mai razionabile, per lo piacere uman che rinovella seguendo il cielo, sempre fu durabile. Opera naturale è ch'uom favella; ma così o così, natura lascia poi fare a voi secondo che v'abbella. Pria ch'i' scendessi a l'infernale ambascia, I s'appellava in terra il sommo bene onde vien la letizia che mi fascia; e El si chiamò poi: e ciò convene, ché l'uso d'i mortali è come fronda in ramo, che sen va e altra vene. Nel monte che si leva più da l'onda, fu' io, con vita pura e disonesta, da la prim'ora a quella che seconda, come 'l sol muta quadra, l'ora sesta». Paradiso: Canto XXVII 'Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo', cominciò, 'gloria!', tutto 'l paradiso, sì che m'inebriava il dolce canto. Ciò ch'io vedeva mi sembiava un riso de l'universo; per che mia ebbrezza intrava per l'udire e per lo viso. Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! oh vita intègra d'amore e di pace! oh sanza brama sicura ricchezza! Dinanzi a li occhi miei le quattro face stavano accese, e quella che pria venne incominciò a farsi più vivace, e tal ne la sembianza sua divenne, qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte fossero augelli e cambiassersi penne. La provedenza, che quivi comparte vice e officio, nel beato coro silenzio posto avea da ogni parte, quand'io udi': «Se io mi trascoloro, non ti maravigliar, ché, dicend'io, vedrai trascolorar tutti costoro. Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio, che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio, fatt'ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza; onde 'l perverso che cadde di qua sù, là giù si placa». Di quel color che per lo sole avverso nube dipigne da sera e da mane, vid'io allora tutto 'l ciel cosperso. E come donna onesta che permane di sé sicura, e per l'altrui fallanza, pur ascoltando, timida si fane, così Beatrice trasmutò sembianza; e tale eclissi credo che 'n ciel fue, quando patì la supprema possanza. Poi procedetter le parole sue con voce tanto da sé trasmutata, che la sembianza non si mutò piùe: «Non fu la sposa di Cristo allevata del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, per essere ad acquisto d'oro usata; ma per acquisto d'esto viver lieto e Sisto e Pio e Calisto e Urbano sparser lo sangue dopo molto fleto. Non fu nostra intenzion ch'a destra mano d'i nostri successor parte sedesse, parte da l'altra del popol cristiano; né che le chiavi che mi fuor concesse, divenisser signaculo in vessillo che contra battezzati combattesse; né ch'io fossi figura di sigillo a privilegi venduti e mendaci, ond'io sovente arrosso e disfavillo. In vesta di pastor lupi rapaci si veggion di qua sù per tutti i paschi: o difesa di Dio, perché pur giaci? Del sangue nostro Caorsini e Guaschi s'apparecchian di bere: o buon principio, a che vil fine convien che tu caschi! Ma l'alta provedenza, che con Scipio difese a Roma la gloria del mondo, soccorrà tosto, sì com'io concipio; e tu, figliuol, che per lo mortal pondo ancor giù tornerai, apri la bocca, e non asconder quel ch'io non ascondo». Sì come di vapor gelati fiocca in giuso l'aere nostro, quando 'l corno de la capra del ciel col sol si tocca, in sù vid'io così l'etera addorno farsi e fioccar di vapor triunfanti che fatto avien con noi quivi soggiorno. Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, e seguì fin che 'l mezzo, per lo molto, li tolse il trapassar del più avanti. Onde la donna, che mi vide assolto de l'attendere in sù, mi disse: «Adima il viso e guarda come tu se' vòlto». Da l'ora ch'io avea guardato prima i' vidi mosso me per tutto l'arco che fa dal mezzo al fine il primo clima; sì ch'io vedea di là da Gade il varco folle d'Ulisse, e di qua presso il lito nel qual si fece Europa dolce carco. E più mi fora discoverto il sito di questa aiuola; ma 'l sol procedea sotto i mie' piedi un segno e più partito. La mente innamorata, che donnea con la mia donna sempre, di ridure ad essa li occhi più che mai ardea; e se natura o arte fé pasture da pigliare occhi, per aver la mente, in carne umana o ne le sue pitture, tutte adunate, parrebber niente ver' lo piacer divin che mi refulse, quando mi volsi al suo viso ridente. E la virtù che lo sguardo m'indulse, del bel nido di Leda mi divelse, e nel ciel velocissimo m'impulse. Le parti sue vivissime ed eccelse sì uniforme son, ch'i' non so dire qual Beatrice per loco mi scelse. Ma ella, che vedea 'l mio disire, incominciò, ridendo tanto lieta, che Dio parea nel suo volto gioire: «La natura del mondo, che quieta il mezzo e tutto l'altro intorno move, quinci comincia come da sua meta; e questo cielo non ha altro dove che la mente divina, in che s'accende l'amor che 'l volge e la virtù ch'ei piove. Luce e amor d'un cerchio lui comprende, sì come questo li altri; e quel precinto colui che 'l cinge solamente intende. Non è suo moto per altro distinto, ma li altri son mensurati da questo, sì come diece da mezzo e da quinto; e come il tempo tegna in cotal testo le sue radici e ne li altri le fronde, omai a te può esser manifesto. Oh cupidigia che i mortali affonde sì sotto te, che nessuno ha podere di trarre li occhi fuor de le tue onde! Ben fiorisce ne li uomini il volere; ma la pioggia continua converte in bozzacchioni le sosine vere. Fede e innocenza son reperte solo ne' parvoletti; poi ciascuna pria fugge che le guance sian coperte. Tale, balbuziendo ancor, digiuna, che poi divora, con la lingua sciolta, qualunque cibo per qualunque luna; e tal, balbuziendo, ama e ascolta la madre sua, che, con loquela intera, disia poi di vederla sepolta. Così si fa la pelle bianca nera nel primo aspetto de la bella figlia di quel ch'apporta mane e lascia sera. Tu, perché non ti facci maraviglia, pensa che 'n terra non è chi governi; onde sì svia l'umana famiglia. Ma prima che gennaio tutto si sverni per la centesma ch'è là giù negletta, raggeran sì questi cerchi superni, che la fortuna che tanto s'aspetta, le poppe volgerà u' son le prore, sì che la classe correrà diretta; e vero frutto verrà dopo 'l fiore». Paradiso: Canto XXVIII Poscia che 'ncontro a la vita presente d'i miseri mortali aperse 'l vero quella che 'mparadisa la mia mente, come in lo specchio fiamma di doppiero vede colui che se n'alluma retro, prima che l'abbia in vista o in pensiero, e sé rivolge per veder se 'l vetro li dice il vero, e vede ch'el s'accorda con esso come nota con suo metro; così la mia memoria si ricorda ch'io feci riguardando ne' belli occhi onde a pigliarmi fece Amor la corda. E com'io mi rivolsi e furon tocchi li miei da ciò che pare in quel volume, quandunque nel suo giro ben s'adocchi, un punto vidi che raggiava lume acuto sì, che 'l viso ch'elli affoca chiuder conviensi per lo forte acume; e quale stella par quinci più poca, parrebbe luna, locata con esso come stella con stella si collòca. Forse cotanto quanto pare appresso alo cigner la luce che 'l dipigne quando 'l vapor che 'l porta più è spesso, distante intorno al punto un cerchio d'igne si girava sì ratto, ch'avria vinto quel moto che più tosto il mondo cigne; e questo era d'un altro circumcinto, e quel dal terzo, e 'l terzo poi dal quarto, dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. Sopra seguiva il settimo sì sparto già di larghezza, che 'l messo di Iuno intero a contenerlo sarebbe arto. Così l'ottavo e 'l nono; e chiascheduno più tardo si movea, secondo ch'era in numero distante più da l'uno; e quello avea la fiamma più sincera cui men distava la favilla pura, credo, però che più di lei s'invera. La donna mia, che mi vedea in cura forte sospeso, disse: «Da quel punto depende il cielo e tutta la natura. Mira quel cerchio che più li è congiunto; e sappi che 'l suo muovere è sì tosto per l'affocato amore ond'elli è punto». E io a lei: «Se 'l mondo fosse posto con l'ordine ch'io veggio in quelle rote, sazio m'avrebbe ciò che m'è proposto; ma nel mondo sensibile si puote veder le volte tanto più divine, quant'elle son dal centro più remote. Onde, se 'l mio disir dee aver fine in questo miro e angelico templo che solo amore e luce ha per confine, udir convienmi ancor come l'essemplo e l'essemplare non vanno d'un modo, ché io per me indarno a ciò contemplo». «Se li tuoi diti non sono a tal nodo sufficienti, non è maraviglia: tanto, per non tentare, è fatto sodo!». Così la donna mia; poi disse: «Piglia quel ch'io ti dicerò, se vuo' saziarti; e intorno da esso t'assottiglia. Li cerchi corporai sono ampi e arti secondo il più e 'l men de la virtute che si distende per tutte lor parti. Maggior bontà vuol far maggior salute; maggior salute maggior corpo cape, s'elli ha le parti igualmente compiute. Dunque costui che tutto quanto rape l'altro universo seco, corrisponde al cerchio che più ama e che più sape: per che, se tu a la virtù circonde la tua misura, non a la parvenza de le sustanze che t'appaion tonde, tu vederai mirabil consequenza di maggio a più e di minore a meno, in ciascun cielo, a sua intelligenza». Come rimane splendido e sereno l'emisperio de l'aere, quando soffia Borea da quella guancia ond'è più leno, per che si purga e risolve la roffia che pria turbava, sì che 'l ciel ne ride con le bellezze d'ogni sua paroffia; così fec'io, poi che mi provide la donna mia del suo risponder chiaro, e come stella in cielo il ver si vide. E poi che le parole sue restaro, non altrimenti ferro disfavilla che bolle, come i cerchi sfavillaro. L'incendio suo seguiva ogni scintilla; ed eran tante, che 'l numero loro più che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla. Io sentiva osannar di coro in coro al punto fisso che li tiene a li ubi, e terrà sempre, ne' quai sempre fuoro. E quella che vedea i pensier dubi ne la mia mente, disse: «I cerchi primi t'hanno mostrato Serafi e Cherubi. Così veloci seguono i suoi vimi, per somigliarsi al punto quanto ponno; e posson quanto a veder son soblimi. Quelli altri amori che 'ntorno li vonno, si chiaman Troni del divino aspetto, per che 'l primo ternaro terminonno; e dei saper che tutti hanno diletto quanto la sua veduta si profonda nel vero in che si queta ogni intelletto. Quinci si può veder come si fonda l'essere beato ne l'atto che vede, non in quel ch'ama, che poscia seconda; e del vedere è misura mercede, che grazia partorisce e buona voglia: così di grado in grado si procede. L'altro ternaro, che così germoglia in questa primavera sempiterna che notturno Ariete non dispoglia, perpetualemente 'Osanna' sberna con tre melode, che suonano in tree ordini di letizia onde s'interna. In essa gerarcia son l'altre dee: prima Dominazioni, e poi Virtudi; l'ordine terzo di Podestadi èe. Poscia ne' due penultimi tripudi Principati e Arcangeli si girano; l'ultimo è tutto d'Angelici ludi. Questi ordini di sù tutti s'ammirano, e di giù vincon sì, che verso Dio tutti tirati sono e tutti tirano. E Dionisio con tanto disio a contemplar questi ordini si mise, che li nomò e distinse com'io. Ma Gregorio da lui poi si divise; onde, sì tosto come li occhi aperse in questo ciel, di sé medesmo rise. E se tanto secreto ver proferse mortale in terra, non voglio ch'ammiri; ché chi 'l vide qua sù gliel discoperse con altro assai del ver di questi giri». Paradiso: Canto XXIX Quando ambedue li figli di Latona, coperti del Montone e de la Libra, fanno de l'orizzonte insieme zona, quant'è dal punto che 'l cenìt inlibra infin che l'uno e l'altro da quel cinto, cambiando l'emisperio, si dilibra, tanto, col volto di riso dipinto, si tacque Beatrice, riguardando fiso nel punto che m'avea vinto. Poi cominciò: «Io dico, e non dimando, quel che tu vuoli udir, perch'io l'ho visto là 've s'appunta ogni ubi e ogni quando. Non per aver a sé di bene acquisto, ch'esser non può, ma perché suo splendore potesse, risplendendo, dir "Subsisto", in sua etternità di tempo fore, fuor d'ogni altro comprender, come i piacque, s'aperse in nuovi amor l'etterno amore. Né prima quasi torpente si giacque; ché né prima né poscia procedette lo discorrer di Dio sovra quest'acque. Forma e materia, congiunte e purette, usciro ad esser che non avia fallo, come d'arco tricordo tre saette. E come in vetro, in ambra o in cristallo raggio resplende sì, che dal venire a l'esser tutto non è intervallo, così 'l triforme effetto del suo sire ne l'esser suo raggiò insieme tutto sanza distinzione in essordire. Concreato fu ordine e costrutto a le sustanze; e quelle furon cima nel mondo in che puro atto fu produtto; pura potenza tenne la parte ima; nel mezzo strinse potenza con atto tal vime, che già mai non si divima. Ieronimo vi scrisse lungo tratto di secoli de li angeli creati anzi che l'altro mondo fosse fatto; ma questo vero è scritto in molti lati da li scrittor de lo Spirito Santo, e tu te n'avvedrai se bene agguati; e anche la ragione il vede alquanto, che non concederebbe che ' motori sanza sua perfezion fosser cotanto. Or sai tu dove e quando questi amori furon creati e come: sì che spenti nel tuo disio già son tre ardori. Né giugneriesi, numerando, al venti sì tosto, come de li angeli parte turbò il suggetto d'i vostri alementi. L'altra rimase, e cominciò quest'arte che tu discerni, con tanto diletto, che mai da circuir non si diparte. Principio del cader fu il maladetto superbir di colui che tu vedesti da tutti i pesi del mondo costretto. Quelli che vedi qui furon modesti a riconoscer sé da la bontate che li avea fatti a tanto intender presti: per che le viste lor furo essaltate con grazia illuminante e con lor merto, si c'hanno ferma e piena volontate; e non voglio che dubbi, ma sia certo, che ricever la grazia è meritorio secondo che l'affetto l'è aperto. Omai dintorno a questo consistorio puoi contemplare assai, se le parole mie son ricolte, sanz'altro aiutorio. Ma perché 'n terra per le vostre scole si legge che l'angelica natura è tal, che 'ntende e si ricorda e vole, ancor dirò, perché tu veggi pura la verità che là giù si confonde, equivocando in sì fatta lettura. Queste sustanze, poi che fur gioconde de la faccia di Dio, non volser viso da essa, da cui nulla si nasconde: però non hanno vedere interciso da novo obietto, e però non bisogna rememorar per concetto diviso; sì che là giù, non dormendo, si sogna, credendo e non credendo dicer vero; ma ne l'uno è più colpa e più vergogna. Voi non andate giù per un sentiero filosofando: tanto vi trasporta l'amor de l'apparenza e 'l suo pensiero! E ancor questo qua sù si comporta con men disdegno che quando è posposta la divina Scrittura o quando è torta. Non vi si pensa quanto sangue costa seminarla nel mondo e quanto piace chi umilmente con essa s'accosta. Per apparer ciascun s'ingegna e face sue invenzioni; e quelle son trascorse da' predicanti e 'l Vangelio si tace. Un dice che la luna si ritorse ne la passion di Cristo e s'interpuose, per che 'l lume del sol giù non si porse; e mente, ché la luce si nascose da sé: però a li Spani e a l'Indi come a' Giudei tale eclissi rispuose. Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi quante sì fatte favole per anno in pergamo si gridan quinci e quindi; sì che le pecorelle, che non sanno, tornan del pasco pasciute di vento, e non le scusa non veder lo danno. Non disse Cristo al suo primo convento: 'Andate, e predicate al mondo ciance'; ma diede lor verace fondamento; e quel tanto sonò ne le sue guance, sì ch'a pugnar per accender la fede de l'Evangelio fero scudo e lance. Ora si va con motti e con iscede a predicare, e pur che ben si rida, gonfia il cappuccio e più non si richiede. Ma tale uccel nel becchetto s'annida, che se 'l vulgo il vedesse, vederebbe la perdonanza di ch'el si confida; per cui tanta stoltezza in terra crebbe, che, sanza prova d'alcun testimonio, ad ogni promession si correrebbe. Di questo ingrassa il porco sant'Antonio, e altri assai che sono ancor più porci, pagando di moneta sanza conio. Ma perché siam digressi assai, ritorci li occhi oramai verso la dritta strada, sì che la via col tempo si raccorci. Questa natura sì oltre s'ingrada in numero, che mai non fu loquela né concetto mortal che tanto vada; e se tu guardi quel che si revela per Daniel, vedrai che 'n sue migliaia determinato numero si cela. La prima luce, che tutta la raia, per tanti modi in essa si recepe, quanti son li splendori a chi s'appaia. Onde, però che a l'atto che concepe segue l'affetto, d'amar la dolcezza diversamente in essa ferve e tepe. Vedi l'eccelso omai e la larghezza de l'etterno valor, poscia che tanti speculi fatti s'ha in che si spezza, uno manendo in sé come davanti». Paradiso: Canto XXX Forse semilia miglia di lontano ci ferve l'ora sesta, e questo mondo china già l'ombra quasi al letto piano, quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo, comincia a farsi tal, ch'alcuna stella perde il parere infino a questo fondo; e come vien la chiarissima ancella del sol più oltre, così 'l ciel si chiude di vista in vista infino a la più bella. Non altrimenti il triunfo che lude sempre dintorno al punto che mi vinse, parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude, a poco a poco al mio veder si stinse: per che tornar con li occhi a Beatrice nulla vedere e amor mi costrinse. Se quanto infino a qui di lei si dice fosse conchiuso tutto in una loda, poca sarebbe a fornir questa vice. La bellezza ch'io vidi si trasmoda non pur di là da noi, ma certo io credo che solo il suo fattor tutta la goda. Da questo passo vinto mi concedo più che già mai da punto di suo tema soprato fosse comico o tragedo: ché, come sole in viso che più trema, così lo rimembrar del dolce riso la mente mia da me medesmo scema. Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso in questa vita, infino a questa vista, non m'è il seguire al mio cantar preciso; ma or convien che mio seguir desista più dietro a sua bellezza, poetando, come a l'ultimo suo ciascuno artista. Cotal qual io lascio a maggior bando che quel de la mia tuba, che deduce l'ardua sua matera terminando, con atto e voce di spedito duce ricominciò: «Noi siamo usciti fore del maggior corpo al ciel ch'è pura luce: luce intellettual, piena d'amore; amor di vero ben, pien di letizia; letizia che trascende ogni dolzore. Qui vederai l'una e l'altra milizia di paradiso, e l'una in quelli aspetti che tu vedrai a l'ultima giustizia». Come sùbito lampo che discetti li spiriti visivi, sì che priva da l'atto l'occhio di più forti obietti, così mi circunfulse luce viva, e lasciommi fasciato di tal velo del suo fulgor, che nulla m'appariva. «Sempre l'amor che queta questo cielo accoglie in sé con sì fatta salute, per far disposto a sua fiamma il candelo». Non fur più tosto dentro a me venute queste parole brievi, ch'io compresi me sormontar di sopr'a mia virtute; e di novella vista mi raccesi tale, che nulla luce è tanto mera, che li occhi miei non si fosser difesi; e vidi lume in forma di rivera fulvido di fulgore, intra due rive dipinte di mirabil primavera. Di tal fiumana uscian faville vive, e d'ogni parte si mettìen ne' fiori, quasi rubin che oro circunscrive; poi, come inebriate da li odori, riprofondavan sé nel miro gurge; e s'una intrava, un'altra n'uscia fori. «L'alto disio che mo t'infiamma e urge, d'aver notizia di ciò che tu vei, tanto mi piace più quanto più turge; ma di quest'acqua convien che tu bei prima che tanta sete in te si sazi»: così mi disse il sol de li occhi miei. Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe son di lor vero umbriferi prefazi. Non che da sé sian queste cose acerbe; ma è difetto da la parte tua, che non hai viste ancor tanto superbe». Non è fantin che sì sùbito rua col volto verso il latte, se si svegli molto tardato da l'usanza sua, come fec'io, per far migliori spegli ancor de li occhi, chinandomi a l'onda che si deriva perché vi s'immegli; e sì come di lei bevve la gronda de le palpebre mie, così mi parve di sua lunghezza divenuta tonda. Poi, come gente stata sotto larve, che pare altro che prima, se si sveste la sembianza non sua in che disparve, così mi si cambiaro in maggior feste li fiori e le faville, sì ch'io vidi ambo le corti del ciel manifeste. O isplendor di Dio, per cu' io vidi l'alto triunfo del regno verace, dammi virtù a dir com'io il vidi! Lume è là sù che visibile face lo creatore a quella creatura che solo in lui vedere ha la sua pace. E' si distende in circular figura, in tanto che la sua circunferenza sarebbe al sol troppo larga cintura. Fassi di raggio tutta sua parvenza reflesso al sommo del mobile primo, che prende quindi vivere e potenza. E come clivo in acqua di suo imo si specchia, quasi per vedersi addorno, quando è nel verde e ne' fioretti opimo, sì, soprastando al lume intorno intorno, vidi specchiarsi in più di mille soglie quanto di noi là sù fatto ha ritorno. E se l'infimo grado in sé raccoglie sì grande lume, quanta è la larghezza di questa rosa ne l'estreme foglie! La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza non si smarriva, ma tutto prendeva il quanto e 'l quale di quella allegrezza. Presso e lontano, lì, né pon né leva: ché dove Dio sanza mezzo governa, la legge natural nulla rileva. Nel giallo de la rosa sempiterna, che si digrada e dilata e redole odor di lode al sol che sempre verna, qual è colui che tace e dicer vole, mi trasse Beatrice, e disse: «Mira quanto è 'l convento de le bianche stole! Vedi nostra città quant'ella gira; vedi li nostri scanni sì ripieni, che poca gente più ci si disira. E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni per la corona che già v'è sù posta, prima che tu a queste nozze ceni, sederà l'alma, che fia giù agosta, de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia verrà in prima ch'ella sia disposta. La cieca cupidigia che v'ammalia simili fatti v'ha al fantolino che muor per fame e caccia via la balia. E fia prefetto nel foro divino allora tal, che palese e coverto non anderà con lui per un cammino. Ma poco poi sarà da Dio sofferto nel santo officio; ch'el sarà detruso là dove Simon mago è per suo merto, e farà quel d'Alagna intrar più giuso». Paradiso: Canto XXXI In forma dunque di candida rosa mi si mostrava la milizia santa che nel suo sangue Cristo fece sposa; ma l'altra, che volando vede e canta la gloria di colui che la 'nnamora e la bontà che la fece cotanta, sì come schiera d'ape, che s'infiora una fiata e una si ritorna là dove suo laboro s'insapora, nel gran fior discendeva che s'addorna di tante foglie, e quindi risaliva là dove 'l suo amor sempre soggiorna. Le facce tutte avean di fiamma viva, e l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco, che nulla neve a quel termine arriva. Quando scendean nel fior, di banco in banco porgevan de la pace e de l'ardore ch'elli acquistavan ventilando il fianco. Né l'interporsi tra 'l disopra e 'l fiore di tanta moltitudine volante impediva la vista e lo splendore: ché la luce divina è penetrante per l'universo secondo ch'è degno, sì che nulla le puote essere ostante. Questo sicuro e gaudioso regno, frequente in gente antica e in novella, viso e amore avea tutto ad un segno. O trina luce, che 'n unica stella scintillando a lor vista, sì li appaga! guarda qua giuso a la nostra procella! Se i barbari, venendo da tal plaga che ciascun giorno d'Elice si cuopra, rotante col suo figlio ond'ella è vaga, veggendo Roma e l'ardua sua opra, stupefaciensi, quando Laterano a le cose mortali andò di sopra; io, che al divino da l'umano, a l'etterno dal tempo era venuto, e di Fiorenza in popol giusto e sano di che stupor dovea esser compiuto! Certo tra esso e 'l gaudio mi facea libito non udire e starmi muto. E quasi peregrin che si ricrea nel tempio del suo voto riguardando, e spera già ridir com'ello stea, su per la viva luce passeggiando, menava io li occhi per li gradi, mo sù, mo giù e mo recirculando. Vedea visi a carità suadi, d'altrui lume fregiati e di suo riso, e atti ornati di tutte onestadi. La forma general di paradiso già tutta mio sguardo avea compresa, in nulla parte ancor fermato fiso; e volgeami con voglia riaccesa per domandar la mia donna di cose di che la mente mia era sospesa. Uno intendea, e altro mi rispuose: credea veder Beatrice e vidi un sene vestito con le genti gloriose. Diffuso era per li occhi e per le gene di benigna letizia, in atto pio quale a tenero padre si convene. E «Ov'è ella?», sùbito diss'io. Ond'elli: «A terminar lo tuo disiro mosse Beatrice me del loco mio; e se riguardi sù nel terzo giro dal sommo grado, tu la rivedrai nel trono che suoi merti le sortiro». Sanza risponder, li occhi sù levai, e vidi lei che si facea corona reflettendo da sé li etterni rai. Da quella region che più sù tona occhio mortale alcun tanto non dista, qualunque in mare più giù s'abbandona, quanto lì da Beatrice la mia vista; ma nulla mi facea, ché sua effige non discendea a me per mezzo mista. «O donna in cui la mia speranza vige, e che soffristi per la mia salute in inferno lasciar le tue vestige, di tante cose quant'i' ho vedute, dal tuo podere e da la tua bontate riconosco la grazia e la virtute. Tu m'hai di servo tratto a libertate per tutte quelle vie, per tutt'i modi che di ciò fare avei la potestate. La tua magnificenza in me custodi, sì che l'anima mia, che fatt'hai sana, piacente a te dal corpo si disnodi». Così orai; e quella, sì lontana come parea, sorrise e riguardommi; poi si tornò a l'etterna fontana. E 'l santo sene: «Acciò che tu assommi perfettamente», disse, «il tuo cammino, a che priego e amor santo mandommi, vola con li occhi per questo giardino; ché veder lui t'acconcerà lo sguardo più al montar per lo raggio divino. E la regina del cielo, ond'io ardo tutto d'amor, ne farà ogni grazia, però ch'i' sono il suo fedel Bernardo». Qual è colui che forse di Croazia viene a veder la Veronica nostra, che per l'antica fame non sen sazia, ma dice nel pensier, fin che si mostra: 'Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, or fu sì fatta la sembianza vostra?'; tal era io mirando la vivace carità di colui che 'n questo mondo, contemplando, gustò di quella pace. «Figliuol di grazia, quest'esser giocondo», cominciò elli, «non ti sarà noto, tenendo li occhi pur qua giù al fondo; ma guarda i cerchi infino al più remoto, tanto che veggi seder la regina cui questo regno è suddito e devoto». Io levai li occhi; e come da mattina la parte oriental de l'orizzonte soverchia quella dove 'l sol declina, così, quasi di valle andando a monte con li occhi, vidi parte ne lo stremo vincer di lume tutta l'altra fronte. E come quivi ove s'aspetta il temo che mal guidò Fetonte, più s'infiamma, e quinci e quindi il lume si fa scemo, così quella pacifica oriafiamma nel mezzo s'avvivava, e d'ogni parte per igual modo allentava la fiamma; e a quel mezzo, con le penne sparte, vid'io più di mille angeli festanti, ciascun distinto di fulgore e d'arte. Vidi a lor giochi quivi e a lor canti ridere una bellezza, che letizia era ne li occhi a tutti li altri santi; e s'io avessi in dir tanta divizia quanta ad imaginar, non ardirei lo minimo tentar di sua delizia. Bernardo, come vide li occhi miei nel caldo suo caler fissi e attenti, li suoi con tanto affetto volse a lei, che ' miei di rimirar fé più ardenti. Paradiso: Canto XXXII Affetto al suo piacer, quel contemplante libero officio di dottore assunse, e cominciò queste parole sante: «La piaga che Maria richiuse e unse, quella ch'è tanto bella da' suoi piedi è colei che l'aperse e che la punse. Ne l'ordine che fanno i terzi sedi, siede Rachel di sotto da costei con Beatrice, sì come tu vedi. Sarra e Rebecca, Iudìt e colei che fu bisava al cantor che per doglia del fallo disse 'Miserere mei', puoi tu veder così di soglia in soglia giù digradar, com'io ch'a proprio nome vo per la rosa giù di foglia in foglia. E dal settimo grado in giù, sì come infino ad esso, succedono Ebree, dirimendo del fior tutte le chiome; perché, secondo lo sguardo che fée la fede in Cristo, queste sono il muro a che si parton le sacre scalee. Da questa parte onde 'l fiore è maturo di tutte le sue foglie, sono assisi quei che credettero in Cristo venturo; da l'altra parte onde sono intercisi di vòti i semicirculi, si stanno quei ch'a Cristo venuto ebber li visi. E come quinci il glorioso scanno de la donna del cielo e li altri scanni di sotto lui cotanta cerna fanno, così di contra quel del gran Giovanni, che sempre santo 'l diserto e 'l martiro sofferse, e poi l'inferno da due anni; e sotto lui così cerner sortiro Francesco, Benedetto e Augustino e altri fin qua giù di giro in giro. Or mira l'alto proveder divino: ché l'uno e l'altro aspetto de la fede igualmente empierà questo giardino. E sappi che dal grado in giù che fiede a mezzo il tratto le due discrezioni, per nullo proprio merito si siede, ma per l'altrui, con certe condizioni: ché tutti questi son spiriti ascolti prima ch'avesser vere elezioni. Ben te ne puoi accorger per li volti e anche per le voci puerili, se tu li guardi bene e se li ascolti. Or dubbi tu e dubitando sili; ma io discioglierò 'l forte legame in che ti stringon li pensier sottili. Dentro a l'ampiezza di questo reame casual punto non puote aver sito, se non come tristizia o sete o fame: ché per etterna legge è stabilito quantunque vedi, sì che giustamente ci si risponde da l'anello al dito; e però questa festinata gente a vera vita non è sine causa intra sé qui più e meno eccellente. Lo rege per cui questo regno pausa in tanto amore e in tanto diletto, che nulla volontà è di più ausa, le menti tutte nel suo lieto aspetto creando, a suo piacer di grazia dota diversamente; e qui basti l'effetto. E ciò espresso e chiaro vi si nota ne la Scrittura santa in quei gemelli che ne la madre ebber l'ira commota. Però, secondo il color d'i capelli, di cotal grazia l'altissimo lume degnamente convien che s'incappelli. Dunque, sanza mercé di lor costume, locati son per gradi differenti, sol differendo nel primiero acume. Bastavasi ne' secoli recenti con l'innocenza, per aver salute, solamente la fede d'i parenti; poi che le prime etadi fuor compiute, convenne ai maschi a l'innocenti penne per circuncidere acquistar virtute; ma poi che 'l tempo de la grazia venne, sanza battesmo perfetto di Cristo tale innocenza là giù si ritenne. Riguarda omai ne la faccia che a Cristo più si somiglia, ché la sua chiarezza sola ti può disporre a veder Cristo». Io vidi sopra lei tanta allegrezza piover, portata ne le menti sante create a trasvolar per quella altezza, che quantunque io avea visto davante, di tanta ammirazion non mi sospese, né mi mostrò di Dio tanto sembiante; e quello amor che primo lì discese, cantando 'Ave, Maria, gratia plena', dinanzi a lei le sue ali distese. Rispuose a la divina cantilena da tutte parti la beata corte, sì ch'ogni vista sen fé più serena. «O santo padre, che per me comporte l'esser qua giù, lasciando il dolce loco nel qual tu siedi per etterna sorte, qual è quell'angel che con tanto gioco guarda ne li occhi la nostra regina, innamorato sì che par di foco?». Così ricorsi ancora a la dottrina di colui ch'abbelliva di Maria, come del sole stella mattutina. Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria quant'esser puote in angelo e in alma, tutta è in lui; e sì volem che sia, perch'elli è quelli che portò la palma giuso a Maria, quando 'l Figliuol di Dio carcar si volse de la nostra salma. Ma vieni omai con li occhi sì com'io andrò parlando, e nota i gran patrici di questo imperio giustissimo e pio. Quei due che seggon là sù più felici per esser propinquissimi ad Augusta, son d'esta rosa quasi due radici: colui che da sinistra le s'aggiusta è il padre per lo cui ardito gusto l'umana specie tanto amaro gusta; dal destro vedi quel padre vetusto di Santa Chiesa a cui Cristo le clavi raccomandò di questo fior venusto. E quei che vide tutti i tempi gravi, pria che morisse, de la bella sposa che s'acquistò con la lancia e coi clavi, siede lungh'esso, e lungo l'altro posa quel duca sotto cui visse di manna la gente ingrata, mobile e retrosa. Di contr'a Pietro vedi sedere Anna, tanto contenta di mirar sua figlia, che non move occhio per cantare osanna; e contro al maggior padre di famiglia siede Lucia, che mosse la tua donna, quando chinavi, a rovinar, le ciglia. Ma perché 'l tempo fugge che t'assonna, qui farem punto, come buon sartore che com'elli ha del panno fa la gonna; e drizzeremo li occhi al primo amore, sì che, guardando verso lui, penètri quant'è possibil per lo suo fulgore. Veramente, ne forse tu t'arretri movendo l'ali tue, credendo oltrarti, orando grazia conven che s'impetri grazia da quella che puote aiutarti; e tu mi seguirai con l'affezione, sì che dal dicer mio lo cor non parti». E cominciò questa santa orazione: Paradiso: Canto XXXIII «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'etterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore, per lo cui caldo ne l'etterna pace così è germinato questo fiore. Qui se' a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra ' mortali, se' di speranza fontana vivace. Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre sua disianza vuol volar sanz'ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate. Or questi, che da l'infima lacuna de l'universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una, supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l'ultima salute. E io, che mai per mio veder non arsi più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi, perché tu ogni nube li disleghi di sua mortalità co' prieghi tuoi, sì che 'l sommo piacer li si dispieghi. Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi. Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiudon le mani!». Li occhi da Dio diletti e venerati, fissi ne l'orator, ne dimostraro quanto i devoti prieghi le son grati; indi a l'etterno lume s'addrizzaro, nel qual non si dee creder che s'invii per creatura l'occhio tanto chiaro. E io ch'al fine di tutt'i disii appropinquava, sì com'io dovea, l'ardor del desiderio in me finii. Bernardo m'accennava, e sorridea, perch'io guardassi suso; ma io era già per me stesso tal qual ei volea: ché la mia vista, venendo sincera, e più e più intrava per lo raggio de l'alta luce che da sé è vera. Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio. Qual è colui che sognando vede, che dopo 'l sogno la passione impressa rimane, e l'altro a la mente non riede, cotal son io, ché quasi tutta cessa mia visione, e ancor mi distilla nel core il dolce che nacque da essa. Così la neve al sol si disigilla; così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla. O somma luce che tanto ti levi da' concetti mortali, a la mia mente ripresta un poco di quel che parevi, e fa la lingua mia tanto possente, ch'una favilla sol de la tua gloria possa lasciare a la futura gente; ché, per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi, più si conceperà di tua vittoria. Io credo, per l'acume ch'io soffersi del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito, se li occhi miei da lui fossero aversi. E' mi ricorda ch'io fui più ardito per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi l'aspetto mio col valore infinito. Oh abbondante grazia ond'io presunsi ficcar lo viso per la luce etterna, tanto che la veduta vi consunsi! Nel suo profondo vidi che s'interna legato con amore in un volume, ciò che per l'universo si squaderna: sustanze e accidenti e lor costume, quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch'i' dico è un semplice lume. La forma universal di questo nodo credo ch'i' vidi, perché più di largo, dicendo questo, mi sento ch'i' godo. Un punto solo m'è maggior letargo che venticinque secoli a la 'mpresa, che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. Così la mente mia, tutta sospesa, mirava fissa, immobile e attenta, e sempre di mirar faceasi accesa. A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto è impossibil che mai si consenta; però che 'l ben, ch'è del volere obietto, tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella è defettivo ciò ch'è lì perfetto. Omai sarà più corta mia favella, pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante che bagni ancor la lingua a la mammella. Non perché più ch'un semplice sembiante fosse nel vivo lume ch'io mirava, che tal è sempre qual s'era davante; ma per la vista che s'avvalorava in me guardando, una sola parvenza, mutandom'io, a me si travagliava. Ne la profonda e chiara sussistenza de l'alto lume parvermi tre giri di tre colori e d'una contenenza; e l'un da l'altro come iri da iri parea reflesso, e 'l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri. Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi, è tanto, che non basta a dicer 'poco'. O luce etterna che sola in te sidi, sola t'intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi! Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circunspetta, dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: per che 'l mio viso in lei tutto era messo. Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond'elli indige, tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi s'indova; ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne. A l'alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente è mossa, l'amor che move il sole e l'altre stelle.